Zorro della metropoli **½ (Italia 1937/1938, b/n, 16 p.) Cesare Zavattini (T), Guido Martina (S) e Walter Molino (D), Paperino e altre avventure #1-33 (30/12/1937-14/4/1938). Il villaggio di Blend vive sotto l’oppressione di Dominguez, riscossore degli affitti dei pascoli di Blend. Il giovane Dan, uno dei cow-boys più abili, sferra un pugno a Dominguez e questi, per vendetta, sequestra tutti i giovani del villaggio (Dan compreso) per condurli a lavorare in un grattacielo d’acciaio a New York. Le condizioni di lavoro sono estenuanti, dato che gli operai stanno costantemente sotto il giogo di aguzzini armati di frusta. Presto Dan scopre che il padrone di tutto, al di sopra di Dominguez, è il misterioso «Alfa», conosciuto dai suoi sottoposti soltanto per mezzo della voce. Dan si abbiglia da giustiziere e nottetempo ritaglia delle «D» sulla fronte degli oppressori. Dominguez e i suoi luogotenenti cercano di far fronte come possono all’emersione di questo misterioso personaggio. Uno dei prodotti più caratteristici del Paperino «giornale», periodico già intenzionato a imporsi – sotto la conduzione di Federico Pedrocchi (che in un opuscolo si attribuì perfino la paternità di questa storia, al massimo come supervisore) – come scuola di rodaggio degli autori di fumetto italiano (i riempitivi made in Italy finora pubblicati nel nerbiniano Avventuroso raramente potevano qualitativamente competere con le produzioni mondadoriane, e per testi e per disegni). Di Zavattini (che chiese di non essere accreditato nei titoli) ci sono l’esaltazione della gioventù proletaria e la descrizione di condizioni di lavoro asfissianti e alienanti (come ne I poveri sono matti, 1937), ma stilisticamente anche la propensione alla sintesi e la frammentarietà (che nel finale fanno comunque desiderare un più particolareggiato sviluppo degli eventi). Nel complesso Zavattini media con trionfo tra modernità ed eredità del feuilleton (il robusto e spavaldo Dan potrebbe figurare come un carbonaro di Natoli), e Guido Martina (al suo esordio fumettistico) contribuisce – facendo tesoro della lezione delle adventure strips americane – con una sceneggiatura spigliata le cui scene riescono a sollecitare il brivido dell’azione (l’inseguimento automobilistico notturno, la sospensione di Dan sul cavo d’acciaio fra i due grattacieli). Tutto sommato, la componente meno interessante è l’apparizione di Dan mascherato da «Zorro della metropoli», cui viene peraltro dedicato pochissimo spazio: per i giustizieri mascherati italiani (come il bonellide Plutos) ci sarà tempo più tardi. Il giovane Molino, un’ottima scelta, non lascia niente al caso nelle pose e nella distribuzione dei soggetti sulla scena, e i suoi personaggi sono infusi di vita grazie alla «naturalezza espressiva» [Gadducci-Gori-Lama] sua propria. Giunge inoltre appropriata, a questo punto, l’opinione di Indro Montanelli sul disegnatore emiliano, in seguito cifra di riconoscimento de La Domenica del Corriere: «ha una bravura scandalosa nel riconoscere, e quindi nel tradurre in segno sulla carta, le caratteristiche del volto che fanno la personalità di ciascuno». Memorabili le torture punitive o da interrogatorio (soprattutto a base di frustate), anticipatrici delle crudeltà parossistiche dispiegate dallo stesso Zavattini nel contribuire a fondare il «neorealismo magico» (l’operaio appeso dall’industriale come deterrente in Totò il buono, 1942), ma anche le sequenze dure e insostenibili del nostro cinema italiano a guerra finita (il supplizio di Roma città aperta, 1945), e incisive sono le sorprese (come la scoperta, nel finale, dell’identità di «Alfa»). Lo Zavattini letterario si incammina verso un inequivocabile impegno sociale, e si nota anche qui (dall’alto, Dan proclama alla folla cittadina ai piedi del palazzo colmo di lavoratori in nero, sfruttati, coi diritti ridotti al lumicino, che «nel grattacielo d’acciaio si trama contro le compagnie petrolifere»), ma al regime fascista la ribellione contro le scorrettezze dei capitalisti sarà apparsa come un’attestazione del mito squadrista. Ristampata in Albo d’Oro nel 1946 e nel volume Le grandi firme del fumetto italiano (1971).
Fonti:
Fabio Gadducci, Leonardo Gori, Sergio Lama, Eccetto Topolino. Lo scontro culturale tra Fascismo e Fumetti, NPE – Nicola Pesce Editore, 2011.